Hai mai pensato a quanto tempo passeresti con Gesù, se al posto del tuo smartphone, nei momenti morti, prendessi in mano un crocifisso? La provocazione arriva da Felipe Chavez, un giovane seminarista “nerd” andato rapidamente virale con un video divertente, ma allo stesso tempo molto profondo.
Alla guida, mentre mangia, mentre si rilassa seduto in poltrona, mentre cammina, in pausa studio, prima di andare a dormire o appena sveglio… ognuna di queste occasioni è “buona”, apparentemente, per distrarsi guardando il telefono.
Il punto è proprio questo: la distrazione, il diversivo, la ricerca di sollievo e conforto rispetto alla noia, al fastidio, al discomfort del momento presente. Una ricerca del tutto comprensibile e legittima, beninteso! È solo che sarebbe più saggio trovare qualcosa… Qualcuno capace di riempire definitivamente quel vuoto; di curare, anziché limitarsi ad alleviare un sintomo.
Per di più, il “farmaco sintomatico” dello smartphone ha delle controindicazioni. I meccanismi dietro a molte app sono studiati appositamente per creare dipendenza. Si tratta di app – spesso social – veloci, sincopate e piuttosto basiche, davvero rilassanti o meglio ipnotizzanti. Lo scrolling infinito, ad esempio, fa da scacciapensieri, resetta la mente o almeno la anestetizza, rispetto agli stimoli esterni. Nel momento in cui la mia attenzione è assorbita dallo schermo, nulla mi può tangere. È un’ipnosi, nel senso letterale del termine.
Oltre a recare sollievo, l’uso compulsivo dello smartphone reca anche un certo piacere/appagamento. E ogni volta che uno stimolo produce benessere e gratificazione, il nostro cervello libera dopamina, principale attrice del cosiddetto “circuito di ricompensa”.
È proprio la dopamina a spingerci a ripetere l’azione che ci ha “soddisfatto”, nell’illusione che la somma delle ricompense (immediate, ma effimere) faccia la felicità (laboriosa, ma duratura).
Ebbene sì, il cervello è proprio stupido! Vorrebbe ricreare “mentalmente” qualcosa che in verità attiene allo spirito… Il fatto è che se l’è dimenticato, lo spirito, e quindi si è ridotto a dover fare tutto da solo. Anche cose che proprio non gli competono. E, be’, le fa come può…
In questo caso, per esempio, cerca di ricreare “artificialmente” (perché l’uomo dimentico dell’anima si riduce a questo, a un’entità bio-meccanica) la felicità. Dal momento che la felicità è durevole, deve prolungare i momenti di benessere. Si avvia quindi la ricerca spasmodica dello stimolo; si dà origine alla dipendenza.
Segue che l’uomo si abbassi ancora di più. Meccanicamente (o animalescamente), vive in funzione della ricompensa. Si mette, direbbe Weil, in una situazione di “cane che aspetta l’osso”.
Ovviamente è assolutamente innaturale che un uomo e la sua felicità “dipendano” da qualcosa di esterno. Fosse pure un altro essere umano, quindi un affetto umano: non è giusto, non è degno e dignitoso, assoggettarsi in questo modo.
Riflettiamo un attimo su cosa si fa, di solito, telefono alla mano. Una delle attività più comuni è proprio elemosinare attenzioni dai propri contatti, via WhatsApp e affini. E poi c’è il “problema” di cui si discute più spesso, quello dell’ossessione per i like su Instagram, TikTok…
“Problema” è volutamente tra virgolette, perché non è questo il problema… ancora una volta, questo è un sintomo. Okay – vi starete dicendo –, allora qual è la diagnosi?
La diagnosi è… mancanza d’Amore. Concretamente, mancanza di Qualcuno di autorevole o di una moltitudine infinita di persone che attesti: tu vali; tu sei importante.
La “ragazzina” che vive per i messaggi del “ragazzone” di turno; l’influencer che mira a racimolare quanti più follower (e “Mi piace”… “Mi piaci”!) possibile… be’, dicono tutti la stessa cosa: ho bisogno di Amore! E dicono anche, indirettamente, che hanno bisogno di uno Scopo, di un Senso (che tra l’altro corrisponde all’Amore).
Per spiegare meglio, proponiamo la metafora del girovago e del pellegrino. Una persona girovaga, una mente girovaga, non ha una meta (per definizione). Si distrae e si sofferma su tutto ciò che di volta in volta l’attira. Di proposte allettanti, in giro, ce ne sono, dunque è molto facile perdersi. E perdere tutto: tempo, soldi, affetti… l’anima, finanche.
Il pellegrino invece tiene gli occhi interiori fissi sul suo obiettivo: raggiungere la meta, e raggiungerla quanto prima.
Il fatto è che la vita della maggior parte delle persone è letteralmente senza senso. La maggior parte delle persone è girovaga; non sa dove andare. È normale che alla prima sirena cada in trappola! Non ha la forza per resistere, non avendo una motivazione forte per farlo. Per dirla con san Paolo: “Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1Cor 15,32).
E non basta nemmeno una buona motivazione umana. “Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe?”.
Insomma: come si fa a vivere senza Senso? Naturalmente si vivrà a caso.
Nel video citato in premessa, il rev. Felipe tiene gli occhi fissi… non sullo schermo, ma sul crocifisso. Così dovremmo fare noi: non cercare di riposare “spegnendo il cervello”, ma posare sul Suo Cuore consapevoli che questa è la cosa più ragionevole da fare. Proprio così: non è solo una scelta di cuore. È anzitutto una “scelta”, che implica volontà, coadiuvata dall’intelletto. Ben lungi dalle dinamiche passive incoraggiate dalla modernità.
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