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Vaccini anti-Covid e aborto: la questione morale spiegata bene29 minuti di lettura

Demetrio Cosola, “La vaccinazione nelle campagne”, pastello su carta telata, 240×145 cm, 1894. Chivasso, Palazzo Santa Chiara [immagine in evidenza]

Demetrio Cosola, La vaccinazione nelle campagne, pastello su carta telata, 240×145 cm, 1894. Chivasso, Palazzo Santa Chiara

Un’analisi completa sul tema dei vaccini e la loro correlazione con l’aborto dalle evidenze scientifiche all’inquadramento morale.

Premessa: i vaccini. Cosa sono e come funzionano

I vaccini anti-Covid-19 Johnson & Johnson, AstraZeneca e Sputnik sono vaccini a DNA ricombinante1Esistono fino a cinque tipologie diverse di vaccini; qui la lista completa.. In particolare, questi vaccini utilizzano un virus del raffreddore2L’adenovirus degli scimpanzé, ChAdOx1 – Chimpanzee Adenovirus Oxford 1. inattivato e inerte come trasportatore della sequenza genetica di quella parte di SARS-CoV-23Che cos’è un virus? Non un essere vivente, ma un involucro di proteine che racchiude materiale genetico (un acido nucleico come il DNA o l’RNA). contro la quale si vuole generare la risposta immunitaria (la proteina Spike4“Spike” in italiano è “punta”. È proprio questa proteina a conferire al virus la sua caratteristica forma a corona.). L’adenovirus (vettore o “trasportatore”), penetra nel nucleo di alcune cellule (in numero limitato) dove fornisce il codice genetico per produrre la proteina Spike. Tale stimolo mette in allarme il sistema immunitario e attiva la produzione di anticorpi, altre proteine in grado di neutralizzare il virus. Se in futuro l’organismo entrerà in contatto con l’agente infettivo, il suo sistema immunitario già “allenato” si ricorderà5Questo meccanismo si chiama appunto memoria immunologica. La sua assenza è il motivo per cui i bambini piccoli vanno incontro alle malattie infettive più di frequente rispetto agli adulti. di produrre gli anticorpi adatti (gli stessi che ha prodotto precedentemente) e la persona non contrarrà la malattia. Dopo la somministrazione, l’informazione genetica viene degradata ed eliminata. L’adenovirus – depotenziato – non può diffondersi nell’organismo del vaccinato infettando più cellule del dovuto.

Qual è il ruolo dei feti abortiti nella produzione dei vaccini?

Per ottenere i vaccini sono dunque necessarie grandi quantità del virus del raffreddore. Questo virus si replica venendo introdotto all’interno di cellule6I virus hanno sempre bisogno di un “ospite” per vivere e riprodursi. Similmente, i batteri proliferano in appositi terreni di coltura. che nel caso di AstraZeneca sono cellule renali embrionali umane (nome scientifico: HEK 293, Human Embryonic Kidney 293) estratte per la prima volta nel 1973 dal rene di un embrione7Diciamo più propriamente “embrione” e non “feto”, trattandosi di bambini di sviluppo inferiore ai tre mesi. È soltanto all’undicesima settimana, infatti, che l’embrione diventa feto. umano all’Università di Leiden, in Olanda. I virus, infatti, non sono organismi viventi, e hanno bisogno di infettare delle cellule per potersi propagare.

Le cellule sono state estratte (“isolate”) dal suddetto rene e modificate geneticamente (“trasformate”) in modo da ottenere altre cellule capaci di replicarsi indefinitamente (ricordiamo che una cellula si “replica”, cioè si “riproduce” per divisione). In questo modo si è dato origine a una linea cellulare, una coltura di cellule considerata immortale separata dal ceppo cellulare di partenza e conservabile a bassissime temperature per anni.

In realtà, le HEK 293 non sono le uniche linee cellulari esistenti. Ve ne sono molte altre, distinte tra loro in base al tessuto dal quale sono state isolate in partenza. Per esempio, la prima linea cellulare umana è la linea delle cellule HeLa (dalle iniziali della paziente che si sottopose all’intervento) ottenuta nel 1952 da un carcinoma (tumore) dell’utero.

La ragione per cui si rendono necessarie le linee cellulari è che tutte le cellule animali e umane, anche se tenute nelle migliori condizioni ambientali e nutrite regolarmente, invecchiano e muoiono. Queste colture dette “primarie”, insomma, hanno durata limitata nel tempo. Diverso il caso delle linee cellulari continue, che sono cellule “trasformate” o meglio “geneticamente modificate”8Allungare la durata di vita di una cellula è possibile facendo ricorso a tecniche di ingegneria genetica che consistono nell’alterare la sequenza del DNA aggiungendo, eliminando o modificando i geni. Si dà luogo così a un OGM. Più in particolare, le cellule si rendono immortali ripristinando i tratti terminali del DNA, i telomeri, che si accorciano a ogni riproduzione cellulare, mentre in questo caso vengono artificialmente reintegrati (la morte avviene quando il DNA è troppo corto per essere replicato; così facendo, invece, rimane sempre della stessa lunghezza). allo scopo di prolungare la loro vita in maniera indefinita (sono potenzialmente immortali).

Le linee cellulari rappresentano uno strumento essenziale in tutti i campi della ricerca biomedica: non c’è farmaco che non sia stato testato in vitro (su una linea cellulare) prima ancora che in vivo (direttamente sugli animali e sull’uomo). Naturalmente, non tutte le linee cellulari provengono da embrioni abortiti, dunque non in tutti i casi sorge un problema morale.

Il problema, per l’appunto, si pone quando per la coltivazione di questi virus vengono utilizzate cellule di origine embrionale, per il semplice fatto che per garantire l’efficacia dei vaccini sono necessarie cellule che somiglino abbastanza a quelle del target da proteggere (la popolazione umana). Inoltre, le cellule embrionali sarebbero particolarmente adatte allo scopo, essendo in grado di dividersi a lungo (la ragione ulteriore l’analizzeremo in seguito). Specifichiamo che nessun residuo (nessuna cellula embrionale) è incluso nel vaccino vero e proprio, anche perché ciò provocherebbe reazioni di rigetto da parte dell’organismo: il problema è a monte, nella fase in cui l’adenovirus-vettore deve essere prodotto. E per produrlo occorrerebbero proprio queste cellule.

Vaccini “etici” e “non etici”

Il condizionale è d’obbligo: per la produzione di altri vaccini diversi da quelli citati, infatti, gli scienziati hanno fatto a meno di utilizzare cellule di embrioni abortiti. Qui (in francese) e qui (in inglese) la lista dei vaccini che per comodità chiameremo “etici”, distinti da quelli maggiormente oggetto di controversie. Si noti che le cellule derivanti “indirettamente” dagli aborti (le linee cellulari) possono essere state impiegate in fasi diverse della produzione del vaccino, dalla ricerca ai test finali passando per lo sviluppo, cioè per la produzione propriamente detta. Un’ulteriore specificazione necessaria è che ogni volta che una linea cellulare come la HEK 293 viene adoperata, si utilizzano cellule provenienti da quell’unico isolamento effettuato sul corpicino di un bambino abortito nel 1973. Questa la dichiarazione riportata sul foglietto illustrativo: «Prodotto in9Non “con”. cellule renali embrionali umane geneticamente modificate (HEK) 293 e mediante tecnologia del DNA ricombinante». Dicitura simile per quanto riguarda il vaccino Johnson & Johnson: «Prodotto nella linea cellulare PER.C6 TetR e mediante tecnologia del DNA ricombinante».

Distinguiamo dunque due linee cellulari provenienti da embrioni abortiti, la HEK 293 (utilizzata per produrre AstraZeneca) e la PER.C6 TetR (utilizzata per produrre Johnson & Johnson). Come abbiamo visto, HEK sta per Human Embryonic Kidney, in italiano “rene embrionale umano”, mentre 293 è il numero di esperimenti che il ricercatore avrebbe effettuato per sviluppare quella specifica linea cellulare. «Non significa che ci siano stati duecentonovantatré aborti», chiarisce la biologa statunitense Pamela Acker in questa intervista, «ma per duecentonovantatré esperimenti, avresti certamente bisogno di molto più di un aborto. Stiamo parlando probabilmente di centinaia di aborti».

La storia di HEK 293 e PER.C6

In mancanza di prove che testimonino questa eventualità, non possiamo affermare con certezza che dietro alla HEK 293 ci siano realmente «centinaia di aborti». Le informazioni sulla reale origine della HEK, in effetti, sono poche e molto fumose. Lo stesso ricercatore, il dottor Alex van der Eb, non è più in grado di ricostruire la storia (familiare e “laboratoriale”) di quell’embrione. Sul suo conto si limita a dire: «ll materiale era il seguente: rene di feto con una storia familiare sconosciuta, ottenuto nel 1972. Non si sa più la data precisa. Il feto, per quanto mi ricordo, era completamente normale. Non c’era niente che non andasse. Non so bene le ragioni di quell’aborto. Probabilmente lo sapevo a quel tempo, ma ho perso tutte queste informazioni»10A. van der Eb, Testimony before the Vaccines and Related Biological Products Advisory Committee, May 16, 2001, FDA Center for Biologics Evalution and Research meeting transcript, p. 81..

Alle audizioni della FDA11La Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici., nel 2001, van der Eb ha parlato anche dell’origine della seconda linea cellulare oggetto della nostra indagine, la PER.C6, proveniente non dalle cellule del rene, bensì dalla retina di un altro embrione abortito nel 1985: «Così ho isolato la retina da un feto, da un feto sano, per quanto si potesse vedere, di 18 settimane. Non c’era nulla di speciale nella storia familiare o la gravidanza era completamente normale fino alle 18 settimane, e si è rivelato essere un abortus socialmente indicato – abortus provocatus, e questo è stato semplicemente perché la donna voleva liberarsi del feto… ciò che era stato scritto era “padre sconosciuto”, e questo era, in effetti, il motivo per cui era stato richiesto l’aborto».

Perché proprio embrioni?

La già citata dott.ssa Acker spiega perché i ricercatori preferiscono impiegare nelle varie fasi di produzione del vaccino delle linee cellulari di derivazione embrionale, piuttosto che le cellule di un uomo adulto: la ragione, molto semplicemente, è che le cellule di un embrione durano (vivono) più a lungo. Stando sempre al parere della biologa, è impossibile che le linee siano derivate da un aborto spontaneo, dal momento che le cellule primigenie (quelle da coltivare) devono essere prelevate entro cinque minuti dall’aborto stesso. Per ovvie ragioni, ciò non è possibile nel caso in cui il bambino muoia “senza preavviso” nel grembo della madre.

E arriviamo così al nocciolo della questione: secondo la Acker, il macabro “ideale” sarebbe estrarre il tessuto quando i bambini sono ancora vivi, subito dopo la nascita avvenuta mediante parto cesareo. «I bambini sono ancora vivi quando i ricercatori iniziano ad estrarre il tessuto; al punto che il loro cuore batte ancora, e generalmente non viene loro somministrato alcun anestetico, perché ciò altererebbe le cellule che i ricercatori stanno cercando di estrarre. Quindi, stanno rimuovendo questo tessuto, per tutto il tempo in cui il bambino è vivo, provocandogli un dolore atroce. Questo lo rende ancora più sadico».

Il ruolo delle linee cellulari umane nella ricerca scientifica

Affermare che esistano traffici illeciti di embrioni abortiti vorrebbe dire probabilmente fare un’illazione (almeno per quanto riguarda la produzione di questi vaccini; non ci soffermiamo invece su sperimentazioni di altro genere in cui sono coinvolte varie università e soprattutto le cliniche del colosso americano “Planned Parenthood”). A rigor di logica, non è necessario estrarre continuamente nuovi tessuti da impiegare nella ricerca, perché le cellule isolate anni addietro vengono coltivate. Al momento esistono diverse linee cellulari embrionali; oltre alle già citate HEK 293 e PER.C6, abbiamo anche WI 38, MRC 5 e WALVAX 2. Quest’ultima non è attualmente utilizzata per nessun vaccino, ma ha il potenziale per esserlo e probabilmente lo sarà in futuro. Il pericolo che vogliamo scongiurare, sollevando la questione morale, è proprio quello di dare vita a troppi precedenti e così a poco a poco “sdoganare” l’impiego di tecniche controverse (per non dire “problematiche”) in campo scientifico. D’altra parte, in questi anni, gli scienziati non si sono limitati a coltivare le cellule già disponibili (lo dimostra la trafila riportata sopra): occorre dunque che chi trova illecito l’uso di questi metodi faccia sentire la propria voce, per stroncare sul nascere un fenomeno grave già solo se limitato al sacrificio di un singolo essere umano.

Un primo passo in questa direzione è stato fatto dall’ex presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, che ha deciso di negare il finanziamento federale per la ricerca da embrioni abortiti. Per ovvie ragioni di imparzialità, evitiamo di soffermarci sull’argomento politica, sulle sue dolorose controversie e contraddizioni, limitandoci piuttosto a rendere conto di un fatto. Sempre in America, nel maggio 2020, alcune personalità del mondo religioso e scientifico hanno indirizzato due lettere al commissario della FDA Stephen Hahn e al primo ministro canadese Justin Trudeau per invitarli a cercare vie alternative di ricerca, pur consapevoli che le ingenti somme di denaro investite per la coltivazione delle linee cellulari già esistenti rendono altamente improbabile la realizzazione di tale richiesta. La speranza, però, è l’ultima a morire: pensiamo al “caso” olio di palma nelle merendine, per esempio, e a come l’industria alimentare si sia mobilitata per assecondare questa nuova sensibilità, complice l’oggettivo incremento del consumo di prodotti palm oil free. Come al solito, il potere è in mano ai consumatori, e questa vicenda ne è la prova ulteriore.

Effettivamente, se non ci fossero stati consumatori del prodotto, le industrie farmaceutiche avrebbero fatto a meno di ricorrere a tecniche di dubbia moralità nella produzione dei vaccini. È questo il motivo per cui si parla comunque di cooperazione al male, precisamente di cooperazione materiale passiva (e non “formale”) e remota.

Risolvere la questione morale è ancor più complicato se si pensa che vi sono alcuni vaccini come Pfizer-BioNTech e Moderna che vengono soltanto testati su queste linee cellulari, e non – come nel caso di AstraZeneca e Johnson & Johnson – anche sviluppati. Sul piano teorico, la fase dei test può considerarsi superflua (il vaccino a quel punto è già un prodotto finito), ma è pur vero che senza i test non potrebbe essere commercializzato. Quindi la relazione con l’aborto sussiste anche in quest’ultimo caso12Pensiamo all’indignazione degli animalisti che arrivano a boicottare (rifiutandosi di acquistarli) i cosmetici testati sui conigli: questa circostanza non può che farci riflettere..

Il parere ufficiale della Chiesa

Analizzando la posizione della Congregazione per la Dottrina della Fede (qui la nota del 21 dicembre 2020), l’eccezionale ammissibilità di questi vaccini deriverebbe dal fatto che la loro ricezione non implica la partecipazione diretta all’aborto e nemmeno la sua accettazione e forzatura13Citiamo in parte il contenuto di un documento a firma di mons. Józef Wróbel S.C.J., presidente dell’équipe di esperti di bioetica della Conferenza Episcopale Polacca, consultabile a questo link.. Le linee cellulari utilizzate nella produzione, infatti, non sono state commissionate appositamente per la produzione di tali vaccini (pensiamo se l’aborto fosse stato ordinato dal produttore a questo scopo; in quel caso si parlerebbe sì di relazione formale), bensì già esistevano. Il vaccino, dunque, è collegato all’aborto solo dal materiale biologico derivato dalla vittima e accidentalmente impiegato nel processo produttivo (relazione materiale, non intenzionale o causale)14Precisano ulteriormente i canonisti: «L’azione che si compie è remota, cioè distante nel tempo e periferica riguardo al nucleo di significato del comportamento a cui ci si riferisce»..

Allo stesso tempo, però, nella nota si fa presente la possibilità di rifiutare «i vaccini prodotti con linee cellulari procedenti da feti abortiti» per motivi di coscienza, ferma restando la necessità di «adoperarsi per evitare, con mezzi profilattici e comportamenti idonei, di divenire veicoli di trasmissione dell’agente infettivo» (5).

Un’ulteriore precisazione compare tra i numeri 3 e 4 della suddetta nota: «È da sottolineare tuttavia che l’utilizzo moralmente lecito di questi tipi di vaccini, per le particolari condizioni che lo rendono tale, non può costituire in sé una legittimazione, anche indiretta, della pratica dell’aborto, e presuppone la contrarietà a questa pratica da parte di coloro che vi fanno ricorso» (3). «Infatti, l’uso lecito di tali vaccini non comporta e non deve comportare in alcun modo un’approvazione morale dell’utilizzo di linee cellulari procedenti da feti abortiti15Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruz. Dignitas personæ, n. 35: «Quando l’illecito è avallato dalle leggi che regolano il sistema sanitario e scientifico, occorre prendere le distanze dagli aspetti iniqui di tale sistema, per non dare l’impressione di una certa tolleranza o accettazione tacita di azioni gravemente ingiuste. Ciò infatti contribuirebbe a aumentare l’indifferenza, se non il favore con cui queste azioni sono viste in alcuni ambienti medici e politici».. Si chiede, quindi, sia alle aziende farmaceutiche che alle agenzie sanitarie governative, di produrre, approvare, distribuire e offrire vaccini eticamente accettabili che non creino problemi di coscienza, né a gli operatori sanitari, né ai vaccinandi stessi» (4).

In sintesi: quando si parla di vaccini ottenuti da cellule di embrioni abortiti, la Chiesa ammette la possibilità di fare obiezione di coscienza e dunque di rifiutare la somministrazione del siero giudicato non etico. «Appare evidente alla ragione pratica che la vaccinazione non è, di norma, un obbligo morale e che, perciò, deve essere volontaria», si legge ancora al numero 5.

Quanto a chi accettasse di farsi somministrare uno dei vaccini non etici, invece, la Congregazione specifica che comunque sarebbe «moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione», «quando non sono disponibili vaccini contro il Covid-19 eticamente ineccepibili (ad esempio in Paesi dove non vengono messi a disposizione dei medici e dei pazienti vaccini senza problemi etici, o in cui la loro distribuzione è più difficile a causa di particolari condizioni di conservazione e trasporto, o quando si distribuiscono vari tipi di vaccino nello stesso Paese ma, da parte delle autorità sanitarie, non si permette ai cittadini la scelta del vaccino da farsi inoculare)» (2). In tal caso, la responsabilità ricadrebbe sulle stesse autorità, gravate di un imperativo morale: garantire dappertutto la distribuzione di vaccini «eticamente accettabili» (4 e 6), «che non creino problemi di coscienza» (4).

A parte la nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, riportata in ampi stralci nelle righe precedenti, esiste un altro pronunciamento di santa madre Chiesa in materia di vaccini anti-Covid, quello della Commissione Vaticana Covid-19 prodotto in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita e datato 29 dicembre 2020. Il contenuto è sostanzialmente simile; la differenza è che l’Accademia rappresenta un semplice ente culturale della Chiesa cattolica, mentre la Congregazione per la Dottrina della Fede partecipa dell’autorità del papa e i suoi documenti appartengono al magistero16Il magistero non è altro che l’insegnamento della Chiesa cattolica distinto in ordinario (es. le encicliche papali) e straordinario (le definizioni dei concili ecumenici e i pronunciamenti ex cathedra, letteralmente “dalla cattedra”, dei papi) che gode del carisma dell’infallibilità..

Alcune riserve…

Come chiarisce opportunamente don Giorgio Ghio17Teologo e sacerdote della diocesi di Rieti., però, i responsi della Congregazione in materia di vaccini «sono troppo recenti perché si possa parlare di insegnamento costante». Prosegue il presbitero: «C’è un’istruzione del medesimo dicastero, la Donum Veritatis del 1990, che riconosce ai teologi la facoltà di esprimere riserve, con il dovuto rispetto e la necessaria competenza, sulle dichiarazioni non definitive del magistero». Questo il testo del documento: «… il Magistero, allo scopo di servire nel miglior modo possibile il Popolo di Dio, e in particolare per metterlo in guardia nei confronti di opinioni pericolose che possono portare all’errore, può intervenire su questioni dibattute nelle quali sono implicati, insieme ai principi fermi, elementi congetturali e contingenti. E spesso è solo a distanza di un certo tempo che diviene possibile operare una distinzione fra ciò che è necessario e ciò che è contingente». Il problema si risolve così: «In questo ambito degli interventi di ordine prudenziale, è accaduto che dei documenti magisteriali non fossero privi di carenze. I Pastori non hanno sempre colto subito tutti gli aspetti o tutta la complessità di una questione. Ma sarebbe contrario alla verità se, a partire da alcuni determinati casi, si concludesse che il Magistero della Chiesa possa ingannarsi abitualmente nei suoi giudizi prudenziali, o non goda dell’assistenza divina nell’esercizio integrale della sua missione» (24).

Numero 29: «In ogni caso non potrà mai venir meno un atteggiamento di fondo di disponibilità ad accogliere lealmente l’insegnamento del Magistero, come si conviene ad ogni credente nel nome dell’obbedienza della fede. Il teologo si sforzerà pertanto di comprendere questo insegnamento nel suo contenuto, nelle sue ragioni e nei suoi motivi. A ciò egli consacrerà una riflessione approfondita e paziente, pronto a rivedere le sue proprie opinioni ed a esaminare le obiezioni che gli fossero fatte dai suoi colleghi».

La chiosa della sezione A, dedicata appunto ai rapporti di collaborazione, è delicata e soave: «Per uno spirito leale ed animato dall’amore per la Chiesa, una tale situazione può certamente rappresentare una prova difficile. Può essere un invito a soffrire nel silenzio e nella preghiera, con la certezza che se la verità è veramente in causa, essa finirà necessariamente per imporsi» (31).

… e punti di vista personali

Fatte tutte le precisazioni del caso, ribadiamo con le parole di san John Henry Newman che la coscienza detiene un primato assoluto nella risoluzione di problemi come questo. La stessa nota della Congregazione lo lascia intendere chiaramente: il giudizio finale sul fare o non fare il vaccino è rimesso alla singola persona, che ne valuterà la convenienza in base alla sua personale sensibilità. «Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere»18J. H. Newman, The Present Position of the Catholics in England, IX, 390., rivendicava il santo cardinale, teologo e filosofo inglese vissuto nel 1800. Ai giorni nostri gli fa eco don Alberto Frigerio, medico e professore di Bioetica presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano: «I cristiani, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati a giudicare con intelligenza le singole fattispecie morali, al fine di praticare e proporre percorsi di vita buona, per sé e per la società».

Quello che segue è dunque un punto di vista strettamente personale, maturato sulla base di una serie di dati e constatazioni più o meno oggettive e condivisibili (sarà il lettore a decidere se farle proprie o meno).

Il male dell’aborto comprende anche la profanazione delle spoglie della vittima

Il primo fatto da riconoscere è che «il male dell’utilizzo di linee cellulari di feti abortiti non comprende solamente l’omicidio originario, ma anche la perdurante commercializzazione del corpo del bambino, così come il rifiuto di seppellire le sue spoglie profanate». Lo fa presente la dottoressa Wanda Półtawska, amica e confidente di san Giovanni Paolo II internata nel campo di concentramento di Ravensbrück, dove fu cavia di esperimenti medici sulla mutilazione chirurgica degli arti. Oggi Wanda ha quasi 100 anni ed è la prima firmataria di un appello di 86 attiviste pro-life che chiedono ai cristiani di dire no ai vaccini in qualche modo legati alla pratica dell’aborto. Una pratica crudele oltre ogni immaginazione, soprattutto nel caso in cui l’embrione da estrarre dal grembo materno sia stato selezionato a fini scientifici. Ordinariamente (escludendo il caso del cosiddetto aborto farmacologico con pillola RU-486, che blocca la crescita dell’embrione e successivamente ne provoca l’espulsione mediante sanguinamento e fortissime contrazioni), l’aborto avviene smembrando il bambino (chiamato “prodotto del concepimento” o semplicemente “materiale abortivo”), stritolandogli il cranio oppure avvelenandolo con una soluzione salina caustica iniettata direttamente nell’utero della gestante. La fine del corpicino (o di quello che ne resta) è ancor più indecorosa: nessuno si lamenta o piange per quei bambini, che anzi vengono considerati semplici rifiuti ospedalieri e trattati (smaltiti) come tali. Quanto poi agli embrioni destinati a fornire tessuti alla scienza, la procedura si fa ancora più macabra: Luisella Scrosati, redattrice de La Nuova Bussola Quotidiana, paragona i sacrifici della Valle di Hinnom19Cfr. 2 Cr 28,1-3; 33,1-6; Ger 7,31-32; 32,35. («È questa la versione del XX secolo di quei bambini donati vivi dagli israeliti per essere bruciati nella Gehenna in onore di Moloch») all’aborto cosiddetto ordinario, mentre l’aborto correlato alla produzione dei vaccini assume il volto peggiore di quelli praticati dagli Aztechi, «che estraevano dal petto delle vittime il cuore pulsante per offrirlo alla “divinità”». Allo stesso modo, ai giorni nostri, il bambino estratto vivo dal grembo materno «soffre un dolore straziante, allorché il medico abortista asporta molto rapidamente, senza alcuna anestesia, il suo rene, di modo che questo organo possa essere spedito fresco, da un giorno all’altro, al ricercatore complice». Questo per ammissione degli stessi dottori, i quali hanno dichiarato che la procedura viene modificata allo scopo preciso di preservare integre e utilizzabili le parti del corpo interessate nella ricerca.

Una tolleranza rischiosa

Più sopra abbiamo citato la linea cellulare WALVAX 2, la più recente tra quelle di cui si ha notizia. Tale linea risale a 6 anni fa ed è stata ricavata dal polmone di un bambino di tre mesi di vita intrauterina (qui i dettagli). Questa modalità di ricerca, fa notare ancora Scrosati, non è stata confinata al passato e poi abbandonata, e nemmeno si può pensare che lo sfruttamento degli embrioni abortiti si limiti al solo settore dei vaccini (rimandiamo all’articolo de LNBQ per ulteriori approfondimenti; tra le altre cose, purtroppo, si parla anche di “topi umanizzati” con pelle e altri organi asportati da bambini tra la diciottesima e la ventesima settimana di gestazione per portare avanti uno studio sulla reazione del sistema immunitario alle infezioni cutanee).

Non a torto, quindi, il presidente di Pro Vita e Famiglia Toni Brandi ha lanciato una petizione per dire stop all’uso di linee cellulari derivate dall’aborto per produrre i vaccini. «… l’uso di queste linee cellulari rischia, almeno nel lungo periodo, di incentivare ulteriori aborti o il ricorso a nuove cellule di feti abortiti, e costituisce uno scandalo in quanto tende a normalizzare l’idea che l’embrione umano sia un oggetto sacrificabile e disponibile», ha evidenziato Brandi. «Inoltre – prosegue il presidente della onlus – è sorprendente il fatto che, su circa 50 vaccini in fase di produzione, siano al momento distribuiti nell’Unione Europea soltanto alcuni di quelli collegati a linee cellulari derivanti da feti abortiti». Le alternative, in effetti, sono numerose: nel resto del mondo circolano vaccini sviluppati eticamente a partire da animali, insetti e piante, come l’Epivac Corona (russo), il BBIBP-CorV e il New Crown COVID-19 (cinesi) e il BBV152 (indiano). In generale, sottolineano alcuni vescovi in un documento consultabile a questo link, «dobbiamo resistere al mito che “non ci sono alternative”». «Al contrario – dicono –, dobbiamo procedere con la speranza e la convinzione che le alternative esistono e che l’ingegno umano, con l’aiuto di Dio, le possa scoprire».

La strategia fallimentare del solo dissenso

In quest’ottica, riteniamo più che lecito sollevare un movimento di opinione pubblica che chieda alle autorità di «produrre, approvare, distribuire e offrire vaccini eticamente accettabili» anche in Europa e in Italia, dove la Chiesa – ricoprendo ancora un ruolo in un certo modo autorevole – potrebbe protestare in tal senso e ottenere così da chi di dovere un maggior rispetto nei confronti della propria sensibilità (ecclesiale) e di quella dei propri figli. Già una volta, in passato, i pastori della Chiesa preferirono mantenere una linea morbida, di fronte al caso del vaccino contro la rosolia per la cui realizzazione erano stati impiegati fibroblasti di polmone umano ricavati sempre da un embrione abortito. Quel vaccino è tuttora in commercio, a dimostrazione che la strategia dei cristiani di manifestare il proprio dissenso, ma di accettare comunque di sottoporsi alla vaccinazione è totalmente fallimentare. Non solo: indirettamente, questo modo di fare ha aperto pian piano la strada a una sempre maggiore normalizzazione dell’uso degli embrioni a scopi scientifici, dando vita a una propaggine maligna che rischia anche di «gettare un’ombra» sul ruolo che la Chiesa ha di «ultima roccaforte contro l’aborto»20Le espressioni virgolettate sono riprese dal documento dei vescovi linkato sopra..

La storia ci insegna che i più grandi crimini contro l’umanità (tra cui proprio l’aborto) sono stati normalizzati e legalizzati facendo leva sulle eccezioni, sui casi limite, sulle situazioni di emergenza21Ma quella del Covid-19 è un’emergenza che si potrebbe facilmente arginare ricorrendo ai vaccini etici già esistenti e disponibili nel resto del mondo. Così facendo, il problema nemmeno si porrebbe. (si pensi al classico caso limite del concepimento frutto di un episodio di violenza).

Per evitare una degenerazione definitiva e inesorabile dei costumi, con lo sdoganamento di quest’ulteriore delitto (la profanazione dei resti del povero feto abortito), occorre una voce ferma che si opponga con forza anche alla minima e più subdola legittimazione in tal senso, con la consapevolezza che è sempre così, cioè in maniera strisciante, serpentina, che concetti propri della cultura della morte si sono insediati nella società moderna.

Come non useremmo mai le linee cellulari risalenti a tessuti prelevati dal dottor Mengele a uno dei prigionieri su cui lui faceva esperimenti, a maggior ragione dovremmo opporci con forza all’impiego di cellule derivanti da un embrione orribilmente assassinato nell’utero materno. E non solo per una questione teorica, di principio, ma anche pratica: in un contesto del genere, in cui l’aborto si presta addirittura a diventare un “diritto umano”, tollerato (se non promosso) dalla maggior parte delle persone, per i cristiani sarebbe preferibile non tenere un atteggiamento ambiguo, o meglio fermo a parole, ma condiscendente nei fatti. Sono i fatti che contano, e l’esperienza ci insegna che soltanto un’azione ferma può fare in modo che le cose cambino.

Mors tua salus mea

«La salute fisica non è un valore assoluto», ricordano ancora i vescovi nella loro lettera. «L’obbedienza alla legge di Dio e la salvezza eterna delle anime devono avere il primato». Conviene a questo punto citare nuovamente san Giovanni Paolo II, che, riguardo alla dignità della vita umana non nata, scriveva: «L’inviolabilità della persona, riflesso dell’assoluta inviolabilità di Dio stesso, trova la sua prima e fondamentale espressione nell’inviolabilità della vita umana. È del tutto falso e illusorio il comune discorso, che peraltro giustamente viene fatto, sui diritti umani – come ad esempio sul diritto alla salute, alla casa, al lavoro, alla famiglia e alla cultura – se non si difende con la massima risolutezza il diritto alla vita, quale diritto primo e fontale, condizione per tutti gli altri diritti della persona» (Christifideles laici, 38). Ciò è comprensibile alla luce di un dato empirico: gli altri diritti semplicemente non sussistono, laddove manca la vita. Eppure la salute – ma più ancora il benessere – è stata resa il bene più grande, più grande della stessa vita, tanto che si è disposti persino a immolare i nostri figli – meglio ancora se vivi – strappando loro gli organi per offrirli freschi in sacrificio al dio Scienza.

Per gli addetti ai lavori: cooperazione al male o appropriazione del male?

Quanto poi al principio teologico della cooperazione materiale, a cui si adduce per giustificare la scelta di fare comunque ricorso a questi vaccini, i vescovi replicano che «è certamente valido e può essere applicato a tutta una serie di casi (pagamento delle tasse, uso di prodotti da lavori di schiavitù, ecc.)». «Tuttavia – puntualizzano –, questo principio difficilmente può essere applicato al caso dei vaccini ottenuti da linee cellulari fetali, perché coloro che consapevolmente e volontariamente ricevono tali vaccini entrano in una sorta di concatenazione, seppur molto remota, con il processo dell’industria dell’aborto. Il crimine di aborto è così mostruoso che qualsiasi tipo di concatenazione con questo crimine, anche se molto remoto, è immorale e non può essere accettato in nessuna circostanza da un cattolico una volta che ne sia pienamente consapevole».

“Pienamente consapevole”, sottolineano i firmatari. Alcuni hanno ipotizzato che chi accetta di farsi immunizzare con un vaccino non etico avrebbe responsabilità pari a un tecnico che fabbrica degli strumenti chirurgici che potrebbero essere utilizzati sia per fini buoni e leciti, come effettuare un’operazione salvavita, sia per procurare un aborto. Stesso grado di responsabilità anche per chi paga le tasse in uno di quegli Stati che finanziano l’aborto dopo averlo legalizzato. Che i suoi soldi vengano destinati specificatamente per coprire le spese di un aborto, però, rappresenta un’eventualità imponderabile, non una certezza. Stessa cosa per l’impiego improprio e moralmente illecito degli strumenti chirurgici. Una volta che gli strumenti e il denaro sono finiti in mano altrui, spetta appunto a chi li amministra decidere in che modo usarli e quali investimenti fare. Altrimenti, si presume, dovremmo rimproverarci anche nel caso in cui il negoziante a cui paghiamo la merce reimpiegasse i nostri22Ma non sono più i nostri! soldi in qualcosa di sconveniente o che noi disapproveremmo. Naturalmente, in fattispecie come questa, la colpa personale aumenta man mano che aumenta anche la consapevolezza e la certezza che il denaro speso andrà a sovvenzionare un’attività illecita.

È vero che, nel caso dei vaccini, l’“effetto collaterale” del rafforzamento di quella che qualcuno chiama “l’industria dell’aborto”23È un’espressione per certi versi impropria, perché non è provato che per realizzare i vaccini anti-Covid siano stati necessari centinaia di aborti. Ciò non toglie che se qualcuno non pone argine alle prime avvisaglie, si rischia di dar luogo a una deriva etica in cui scenari come questo non sono affatto esclusi. sarebbe appunto “collaterale”, cioè tollerato o subito, non voluto direttamente (præter intentionem, andrebbe oltre l’intenzione di chi agisce).

Più nello specifico, la categoria della cooperazione al male, coniata nel XVIII secolo da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, si riferisce al caso in cui un soggetto (cooperante) compie un’azione che contribuisce, in modo subordinato, all’azione iniqua progettata e attuata da un altro soggetto (agente principale). Tornando alla nostra analisi, la cooperazione potrebbe consistere al più in un incentivo all’impiego di tecniche illecite in ambito scientifico (in mancanza di qualcuno che dissenta in maniera forte, convincente e soprattutto fattiva); diversamente, più che di cooperazione al male, si potrebbe parlare di appropriazione del male, stando alla definizione fornita nei primi anni Duemila da M. Cathleen Kaveny, studiosa di diritto e teologa. In questa fattispecie, l’azione del soggetto agente (appropriatore), non facilita quella di un altro soggetto (agente ausiliare), come nel caso dell’utilizzo nella ricerca scientifica di dati provenienti dagli esperimenti condotti dai nazisti sui prigionieri dei campi di concentramento. Nell’esempio illustrato, però, si parla solo di “dati”, non di “prodotti” veri e propri. Oltretutto, non c’è pericolo che l’azione di appropriarsi di questi dati costituisca un incentivo (indiretto e implicito quanto si vuole, ma pur sempre un incentivo) al mostruoso sfruttamento di altri esseri umani in nome del progresso scientifico. L’opinione pubblica è concorde nel definire ciò che è avvenuto ad Auschwitz e in particolare nel laboratorio del dottor Mengele una barbarie inumana. Le idee sull’aborto, invece, sono di gran lunga meno chiare. E chi difenderà le povere vittime, se anche il sale perde il suo sapore24Cfr. Mt 5,13 sul valore della testimonianza resa dai cristiani.?

Precisiamo in conclusione che le cellule coltivate mantengono tutte le caratteristiche (il DNA) delle cellule estratte originariamente dall’embrione abortito. Per questo motivo, da un punto di vista oggettivo, il loro utilizzo non sarà mai sufficientemente slegato dall’atto abortivo.

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