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Evoluzione o involuzione? La vera origine dell’uomo-scimmia21 minuti di lettura

Lorenzo Lotto e Giovan Francesco Capoferri, “Arca di Noè” o “Restauratio humana”, tarsia, 68×101 cm, 1526. Bergamo, Basilica di Santa Maria Maggiore [immagine in evidenza]

Lorenzo Lotto e Giovan Francesco Capoferri, Arca di Noè o Restauratio humana, tarsia, 68×101 cm, 1526. Bergamo, Basilica di Santa Maria Maggiore

L’evoluzionismo è una dottrina filosofica e naturalistica sorta nel XIX secolo che concepisce il processo di formazione e di sviluppo della “vita” in senso generale, e poi segnatamente umano, come un continuo passaggio degli esseri da stati di maggiore omogeneità e indeterminatezza a stati di sempre maggiore eterogeneità e definitezza1Cfr. Vocabolario Treccani alla voce “evoluzionismo”.. Nel caso specifico dell’uomo, il biologo inglese Charles Darwin (1809-1882) elaborò una teoria relativa alla presunta discendenza dell’essere umano dai cosiddetti “ominidi” o grandi scimmie, da cui si sarebbe differenziato 2,3-2,4 milioni di anni fa per diffondersi in seguito su tutta la terra sotto le sembianze dell’“uomo” così come lo conosciamo oggi.

La Chiesa non ha mai preso una posizione ufficiale (vincolante) sulla questione evoluzionismo, seppure in diverse encicliche2Tra tutte, l’Humani Generis (1950) del venerabile Pio XII. sia ravvisabile una moderata apertura nei confronti di quanti sostengono questa opinione (lo diciamo con immenso rammarico…). Nel concreto, in ambiente ecclesiastico, prevale giustamente una certa resistenza (o comunque cautela) nell’abbracciare senza riserve il pensiero darwinista, un pensiero svilente e degradante tanto per l’uomo quanto per Dio (il Dio-Uomo – Cristo Gesù – e il Dio-Creatore). Proviamo di seguito a spiegare il perché.

Caso… o caos?

Accettare una simile ipotesi vorrebbe dire, anche se non ci pensiamo, coltivare da una parte una sorta di complesso di inferiorità – gli animali, evidentemente, non sono pari agli uomini –, e dall’altra indulgere a un atteggiamento orgoglioso e autoreferenziale la cui conclusione ultima è: ci siamo fatti da soli.

In entrambi i casi si configura un problema di umiltà; di falsa umiltà, nello specifico. La falsa umiltà ci porta a credere di essere inferiori, peggiori rispetto a chi realmente siamo; animali, addirittura. Nel secondo caso, invece, l’umiltà manca del tutto: pur di affermare “ci siamo fatti da soli”, pur di non ammettere l’esistenza di un Creatore, pur di non riconoscerne l’oggettiva superiorità, l’uomo potrebbe paradossalmente cedere alla tentazione di considerarsi figlio di un minus habens (pardon: homo sapiens!) per definizione inferiore.

Comunque sia, se non proprio la scimmia, il dio rischia di diventare il caso.

Di per sé, l’evoluzione non spiega l’origine (né tantomeno il senso) di tutte le cose, perché i primati – stando a questo principio – devono aver avuto anch’essi un’evoluzione, così come tutte le altre specie viventi. Sì, ma a partire da cosa?

Allora si parla di un antenato comune universale, un’entità cellulare dalla quale tutti gli organismi che conosciamo discenderebbero. Ma il caso, l’anagrammato, scombinato caos, non è in grado di generare ordine. Come spiegare allora la presenza sul pianeta terra di tante e tali forme di vita variegatissime, bellissime, tutte ordinate e tra loro in equilibrio, se non tornando a pensare che esista un Dio?

È molto tenera e comunque giustificata, l’ulteriore domanda che a questo punto potrebbe sorgere spontanea: e Dio, invece? Da dove viene?

Ma Dio non viene da nessuna parte, e nemmeno si lascia trascinare nei nostri discorsi aprioristici e per di più scientificamente dogmatici (un evidente ossimoro!). Letteralmente, Dio è. «Io sono», si legge nell’Antico Testamento. Gli esseri umani creati e finiti faticano a concepire un Ente divino increato e infinito; ugualmente difficile, per noi che viviamo nel tempo, è farci un’idea dell’eternità, di una cosa che non solo sarà sempre, ma che è sempre stata. Il fatto di non riuscire bene a orientarci nella dimensione temporale non deve stupirci: tutti noi abbiamo una data di nascita e siamo affezionati al concetto di “inizio”. Eppure nessuno è tanto stolto o egocentrico da pensare seriamente che prima di lui non ci fosse nessun altro, da pensare seriamente di essersi “fatto da solo” oppure – peggio ancora – di essere un prodotto del caso. Non “a caso” Dio ha preordinato che la procreazione dipendesse dall’unione amorevole e naturalmente complementare di un uomo e una donna, e che il figlio fosse la terza persona di questa trinità familiare realizzata a immagine e somiglianza di quella divina. È ovvio, per chi crede, che i coniugi cooperino con Dio alla trasmissione della vita: perciò si dice pro-creazione, cioè cooperazione alla creazione.

L’esperienza pratica ci insegna che l’uomo non è in grado di creare qualcosa ex nihilo, senza cioè partire da una materia preesistente poi rielaborata e trasformata attraverso vari processi messi in atto a questo scopo. Da qui, probabilmente, l’equivoco più grande: l’uomo non è materia grezza da processare; o almeno, non lo era originariamente nel progetto di Dio. Scopriremo in seguito che, dopo il peccato che ci ha a tutti gli effetti degradato, abbiamo bisogno della cosiddetta “ascesi” per tornare allo stato di perfezione originaria e “sgrezzarci” in senso spirituale.

La ragione della fede

Allo stesso tempo, a partire sempre dall’osservazione dei processi tecnici e tecnologici, dovremmo facilmente persuaderci che tutto ciò che abbiamo intorno non si è fatto da solo, non è frutto di un’improvvisazione casuale, bensì di un progetto causale ben studiato fin dal principio.

Insomma: l’ipotesi evoluzione come casualità non può reggere, visto che tutto ciò che conosciamo ha una propria origine ben precisa. Paradossalmente, l’unica cosa di cui non riusciamo a individuare una paternità non è una cosa qualunque, ma la vita stessa. Ed è drammatico, se ci pensiamo, che molti esseri umani sopravvivano senza un perché.

I cristiani autentici, invece, hanno una risposta per tutto, non lasciano nulla al caso e la loro vita è piena di senso. Persino il male ha la sua causa e il suo perché, alla luce della dottrina sul peccato originale! La stessa necessità della fede, dell’indispensabile (per ragioni di giustizia) nascondimento di Dio, trova ragione alla luce di questo peccato.

I reperti fossili e la correlazione tra bruttezza e brutalità

E al peccato originale dobbiamo imputare anche ogni sorta di brutalità dell’uomo, che ha provocato un suo abbrutimento fisico (oltre che morale) riscontrabile nei reperti dei cosiddetti “ominidi”. Non è necessario fare ricorso alla scienza fisiognomica e alle teorie del delinquente atavico, per darci ragione di questo legame. Alcuni degli effetti “fisici” del peccato sono riportati nel capitolo terzo del libro della Genesi, subito dopo il racconto della caduta di Adamo ed Eva, caduta che ha comportato la perdita della bellezza dell’uomo intesa come riflesso della perfezione di Dio. Questa corruzione generale ha come conseguenza estrema la bruttura della morte, ma è appurabile a partire dai più piccoli nei e inestetismi che testimoniano una disarmonia e un disordine palesemente innaturali, anomali.

Sono anomalie, questa volta di dimensioni macroscopiche, anche i cosiddetti “scherzi della natura” (lusus naturæ), che ci presentano una variazione abnorme, talora impressionante, di una qualche forma di vita vittima di mutazioni o malformazioni genetiche. Si tratta di gravi difformità contrarie all’ordine naturale delle cose, proprio come lo sarebbero gli ominidi, delle “eccezioni” rispetto alla forma e all’aspetto normali di un normale essere umano. Nel caso specifico, l’essere umano assume emblematicamente l’aspetto di un animale; e che cosa è, il peccato, se non una degradazione dell’uomo allo stato di bestia?

Filosofeggiando, potremmo ancora annotare che la scimmia è – tra tutte le specie – la più particolare a livello simbolico e di allegorie. La tradizione popolare la associa a qualcosa di brutto e di malefico; inoltre, in diversi modi di dire, la scimmia è legata all’idea di perdita del controllo su di sé e sui propri impulsi (per non dire “istinti”). Ma la chiave di lettura più audace la danno quegli autori cristiani che definiscono il diavolo simia Dei, la scimmia di Dio, che “scimmiotta” il Suo agire, cioè Lo imita maldestramente e goffamente per quel che può e per quel che gli è concesso, non senza nascondere una particolare ossessione: voler creare. Come Dio. È questa l’unica cosa che non potrà mai fare, come non potrà mai farlo nessun altra creatura, perché è e sarà sempre facoltà esclusiva del Creatore per antonomasia.

In fondo, se satana è la scimmia, Dio è l’Uomo (in Gesù). Mentre noi vogliamo essere animali, seguendo il peggiore di questi due esempi. Peraltro, la legge mosaica definiva “immonde” le bestie quadrumani (quelle che camminano sopra le loro mani), e non sarebbe propriamente un onore, per noi, esserci imparentati. Soprattutto sarebbe una contraddizione per Dio, che è perfezione assoluta, aver creato la Sua stessa immagine – l’uomo – a partire da un essere inferiore; perfetto quanto si vuole, sì, ma di una perfezione scimmiesca, non propria di un essere spirituale. E perché poi aspettare secoli e secoli per infondere in questi animali l’anima ragionevole, lo spirito, il Suo soffio divino?

La verità è che ogni cosa è uscita perfetta, di una perfezione relativa e singolare, direttamente dalle mani di Dio. Sarebbe stato assurdo prendere delle scimmie – perdipiù solo alcune, visto che oggi esse sopravvivono e convivono tranquillamente con noi, senza subire influenze di sorta – e predisporre la loro evoluzione. Ancora una volta, questa è una cosa contraria all’ordine e all’equilibrio naturale che Dio stesso ha stabilito. E potrebbe Dio violare le Sue leggi?

Prima si è accennato alla convivenza dell’uomo con questi animali che va avanti da secoli senza particolari sconvolgimenti. Per dire, non si è mai sentito che una scimmia di punto in bianco iniziasse a ragionare e a parlare come un uomo. Potremmo sempre sfidare gli scienziati a fare questo prolungato esperimento: prendere una coppia di scimmie intelligenti, selezionare i più intelligenti dei loro figli, i più intelligenti dei loro nipoti e così via, e curarli e trattarli con attenzioni particolari, al pari di uomini, forzando e favorendo artificiosamente quel processo evolutivo che a questo punto sarebbe anche più facile di quello dettato dal “caso” milioni di anni fa, ma i cambiamenti non sarebbero che minimi. Come già riscontrato in altre occasioni, con altre ingerenze umane in natura, il risultato sarebbe la rovina di una specie che di per sé era perfetta. Relativamente perfetta, perché sarebbe assurdo, un’aberrazione, se il gatto iniziasse a comportarsi da cane e viceversa. Il gatto è perfetto come gatto; il cane è perfetto come cane. A prescindere dal fatto che l’intelligenza di uno potrebbe essere superiore a quella dell’altro: questi due esseri, insieme agli altri, coesistono in virtù della loro diversità, perché Dio non crea cose uguali tra loro e di conseguenza inutili. Due cose uguali, per definizione, non sono complementari. Non si attraggono e si incastrano; al contrario, si respingono.

Così, con le scimmie selezionate avverrebbe che esse sarebbero meno forti fisicamente, più viziose e sedentarie, ma mai intelligenti e ragionevoli come un essere umano.

Naturalmente (si fa per dire) potremmo fare anche il contrario. L’esperienza testimonia che certa “scienza” non si farebbe scrupoli, non sentirebbe alcun rimorso né orrore, giocando con tutti i suoi innesti e incroci ripugnanti ai danni di un indifeso essere umano. Eppure, se anche ci provasse, la povera “cavia” finirebbe per diventare un brutto figlio d’uomo, un degenerato, un delinquente, forse, ma mai una vera scimmia3Liberamente tratto dai Quaderni di Maria Valtorta (20.12.43)..

Quella che noi in certi casi chiamiamo “evoluzione” è in verità il risultato di incroci e di altre forzature direttamente orchestrate o comunque avallate dall’uomo che ha portato a un impiccolimento strutturale, oppure – nei casi più eclatanti – alla formazione di ulteriori razze ibride. È importante precisarlo perché la teoria evoluzionista si appoggia in parte anche sulle differenze tra conformazioni ossee, colori della pelle e altri tratti fisici delle varie popolazioni del mondo, che sono la semplice testimonianza di un (ri)adattamento alle circostanze di clima e di vita resosi necessario dopo lo scombussolamento dovuto al peccato. Tanto per fare un esempio, in condizioni normali, il sole non ci sarebbe stato nemico, scottandoci la faccia, e non avremmo avuto bisogno di adattarci a questa nuova, fastidiosa contingenza sviluppando una pelle più scura e coriacea. Questo meccanismo di divisione e conseguente diversificazione dei popoli viene descritto anche nella Bibbia: nell’episodio della torre di Babele4Cfr. Gen 11,1-26., la diversità (da cui derivano le disparità, oltre che le incomprensioni) è il frutto negativo della divisione causata dagli uomini e dalla loro arroganza. Ciò non toglie che il confronto con il diverso, allo stato attuale delle cose, rappresenti quasi sempre un’occasione di arricchimento; originariamente, però, l’uomo sarebbe stato integro, indiviso anche in se stesso, e avrebbe racchiuso già in sé tutto il bello che esiste nel mondo.

Ma il mutamento (in peggio) non ha riguardato soltanto l’uomo: «La rosa», dice san Basilio, «è un bel fiore, ma mi dà una grande tristezza, perché mi ricorda il mio peccato, a causa del quale la terra è stata condannata a produrre spine».

Vorremmo invitare a riflettere anche sul fatto che l’uomo, a differenza di tutti gli animali, deve necessariamente vestirsi, rischiando altrimenti di non sopravvivere alle basse temperature. Questa necessità vuol dire molto più di quanto possiamo immaginare: significa che l’uomo è pudico (e gli animali no), ma testimonia anche un adattamento forzato a una condizione svantaggiosa e potenzialmente dannosa come quella del freddo. Supponendo che l’uomo si fosse realmente evoluto dalla scimmia, allora questa “evoluzione” non sarebbe stata tale a tutti gli effetti, non avrebbe realizzato un miglioramento, bensì un peggioramento, un’involuzione, dal momento che la pelliccia è utile all’uomo per scaldarsi e per sentirsi a proprio agio socialmente. Di contro, secondo la Genesi, gli uomini hanno iniziato a vestirsi dopo aver perso la loro connaturale innocenza; dopo, cioè, essersi involuti ed essere discesi di un grado verso l’animale. È emblematico già solo il fatto che abbiano iniziato a ricoprirsi di pelli di animali: nulla ci vieta, a questo punto, di teorizzare che questa assimilazione abbia riguardato non solo l’esteriore, ma anche l’interiore (si rimanda agli ulteriori approfondimenti sul tema del peccato originale presenti su questo blog).

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Più sopra abbiamo citato indirettamente la teoria dell’autogenesi, secondo la quale tutto il creato sarebbe il prodotto della “genesi autonoma” di una sola cellula da cui sarebbero venute le infinite specie animali e vegetali che conosciamo oggi, uomo incluso. Manca all’appello, invece, la materia, e con essa il terreno vitale in cui la nostra cellula avrebbe dovuto mantenersi e riprodursi. Capite bene che sarebbe servito un miracolo, per tenerla in vita e farla proliferare nel nulla più assoluto. Ma la scienza, giustamente, non ammette miracoli, non può e non deve lasciare nulla al caso.

Un atto di fede (nella scienza)

La scienza non dovrebbe ammettere o richiedere nemmeno atti di fede, essendo per definizione oggettiva e in ogni tempo dimostrabile. Eppure, per credere all’evoluzione, un atto di fede occorre farlo (o forse più d’uno).

Vogliamo adesso affrontare la questione del cosiddetto “anello mancante”, ma anche degli anelli “intermedi” che a oggi sono ugualmente assenti. Si tratta di fossili di transizione che avvalorerebbero la tesi relativa alla lentezza e alla gradualità dell’evoluzione, come residui di coda in fase di scomparsa, arti anteriori che si accorciano man mano oppure stadi intermedi dell’intelligenza. Questo è un dato di fatto: non ci sono nemmeno, per quanto riguarda le altre specie, pinne fossili colte nell’atto di diventare arti, resti di branchie mutantesi in polmoni e ossa mezze vuote e mezze no che avrebbero permesso ai quasi-uccelli di fare i primi svolazzi. Tutto è lì, dato. Così è (se vi pare).

Ma questa non può essere scienza. Per la scienza è tutto perfettamente dimostrabile, dall’inizio alla fine. L’inizio, per inciso, è il Cambriano, era geologica compresa tra 542 e 490 milioni di anni fa a cui risalirebbero i primi fossili che abbiamo a disposizione. E cosa ci dicono, questi fossili? Semplice: i fossili del Cambriano attestano l’esistenza di 500 specie diverse appartenenti a sette tipi diversi. Improvvisamente; senza precedenti. Dei loro antenati non c’è la minima traccia, così come non c’è traccia delle famigerate specie intermedie: sono venute al mondo già perfettamente compiute e diversificate. Una prova su tutte, quella delle tartarughe moderne, che sono rimaste identiche al confronto con i loro fossili più antichi5Cfr. Il Timone – Gennaio 2010 (pag. 39 – 41)..

Non sono solo le fonti antievoluzioniste a riportare questi dati: il grande paleontologo statunitense Stephen Jay Gould (1941-2002), evoluzionista convinto, scoraggiava la comunità dei darwinisti ad addurre come prove i reperti fossili, che in base a quanto detto non solo sarebbero inservibili, ma anzi andrebbero addirittura contro il “credo” scientifico basato sulla trasformazione, sulla “transizione” graduale dalla specie scimmia alla specie uomo.

Involuzionismo

Passiamo ora a formulare una nuova teoria sull’origine di quegli scheletri, che chiameremo per comodità “teoria dell’involuzione”. In base a essa, l’uomo attuale, ma in particolare quello antidiluviano, sarebbe il risultato di una dolorosa evoluzione discendentale (e non, come prima, ascendentale), originata dalla colpa di Adamo, che ha per sempre leso la perfezione fisico-morale-spirituale dell’uomo quale Dio l’aveva plasmato.

Il principale “argomento a sostegno” della tesi è un passo biblico, Gen 6,1-6, da sempre di difficile interpretazione. Lo riportiamo per esteso:

Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni». C’erano sulla terra i giganti a quei tempi – e anche dopo –, quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell’antichità, uomini famosi. Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo.

Da notare la separazione: figli di Dio e figli (figlie) degli uomini. Allora, chi sono i figli di Dio, e da chi discendono? Altrettanto enigmatica l’origine dei figli degli uomini. Sulla base di quanto Gesù avrebbe rivelato alla mistica Maria Valtorta (1897-1961), possiamo provare a restituire un’identità abbastanza precisa a questi arcani personaggi.

I figli di Dio sarebbero i figli di Set, generato da Adamo ed Eva dopo la morte di Abele. I figli degli uomini, invece, sarebbero i figli di Caino. Nella Bibbia si fa un riferimento addizionale alla loro prole, cioè ai discendenti venuti da questa mescolanza tra i figli di Dio (o di Set) e i figli degli uomini (o di Caino): «Ora dunque, dopo che i figli di Dio si congiunsero colle figlie degli uomini e queste partorirono, ne vennero fuori quegli uomini potenti, famosi nei secoli».

Spiega Gesù alla Valtorta: sono questi gli stessi «uomini che per potenza del loro scheletro colpiscono i vostri scienziati», i quali «ne deducono che al principio dei tempi l’uomo era molto più alto e forte di quanto è ora» e «dalla struttura del loro cranio», in particolare, «deducono che l’uomo derivi dalla scimmia».

Ma come è avvenuto questo? Com’è avvenuto che l’uomo assumesse l’aspetto di un bruto? Per scoprirlo, occorre chiederne conto ancora una volta ai nostri progenitori.

Adamo ed Eva, con la loro disubbidienza, peccarono contro Dio, ma non contro il proprio prossimo. Caino, invece, infranse totalmente l’amore in tutte le sue sfaccettature, unendo alla decadenza prodotta dal primo peccato anche il carico dell’impenitenza e di aver abbracciato satana come suo padre e padrone. Se Adamo ed Eva vissero da penitenti e piansero ugualmente il morto della carne (Abele) e il morto dello spirito (Caino), senza maledire quest’ultimo, lo stesso non si può dire di Caino, che invece cadde definitivamente in disgrazia di Dio.

E se il peccato di Adamo produsse tanta devastazione, ancor di più quello di Caino, i cui discendenti ereditarono gravissime tare proprie di un ramo segnato sin dal suo capostipite dalla maledizione di Dio. «Perciò egli e i suoi propri figli furono figli dell’animale detto uomo»6Quaderni di Maria Valtorta, 30.12.46..

In altre parole, l’uomo divenne animale in quanto violò non soltanto la legge divina, ma anche quella umana. La più elementare legge umana, le più elementari e istintive norme di vivere degli uomini dotati di anima spirituale. Si parla di peccati animaleschi: ricordiamo che già la colpa d’origine fu con ogni probabilità un peccato che coinvolse la sfera materiale dell’uomo, la stessa che egli ha in comune con gli animali (lo spirito, al contrario, ci accomuna agli angeli, realizzando in noi una sintesi perfetta di tutti gli enti creati). E a maggior ragione lo fu quella dei figli di Caino, «afferrati ed esasperati da satana» nei loro istinti primitivi, avendolo accolto in tutto e per tutto come padrone e maestro. «Dove non è Dio, è satana. Dove l’uomo non ha più anima viva, è l’uomo bruto. Il bruto ama i bruti. La lussuria carnale, più che carnale perché afferrata ed esasperata da satana, lo fa avido di tutti i connubi. Bello e seducente gli pare ciò che è orrido e sconvolgente come un incubo. Il lecito non lo appaga. È troppo poco e troppo onesto, e pazzo di libidine cerca l’illecito, il degradante, il bestiale».

Capite a quale cosa orrida e drammatica alluderebbe Gesù? Potremmo parlare di una sorta di ibridazione tra l’uomo e la scimmia, simile a quella descritta da san Pier Damiani nella sua opera De bono religiosi status et variorum animantium tropologia7Patrologia Latina, vol. 145, coll. 789-790: «Ait enim quia nuper comes Gulielmus in Liguriae partibus habitans marem habebat simiae, qui vulgo maimo dicitur, cum quo et uxor eius, ut erat impudica prorsus ac petulans, lascivius iocabatur. […] Enimvero nuper allatus est praefato papae, et simul et nobis grandiusculus quidam puer; et si iam, ut dicitur, vicennalis, tamen prorsus elinguis et maimoni forma consimilis, ita ut eodem vocabulo nuncupetur».. Grazie a Dio, non siamo in grado di portare esempi e prove tangibili circa la possibilità concreta di realizzare un incrocio del genere. È un dato di fatto, però, che la differenza di cromosomi non costituirebbe di per se stessa una barriera; inoltre, in una biografia del noto “dottore degli orrori” dei campi di concentramento di Auschwitz8Cfr. Gerald Posner, Mengele: The Complete Story, Cooper Square Press, New York 2000. si legge di presunti esperimenti eugenetici fatti a questo scopo che sarebbero drammaticamente andati a buon fine.

Questa la possibile interpretazione letterale. Riportando le cose sul piano filosofico-metafisico, si potrebbe ulteriormente constatare che il male morale ha delle ripercussioni su tutto di noi stessi, incluso il nostro aspetto9Non per forza chi è brutto è un grande peccatore! Lo stesso dicasi per chi è malato: sono croci che porta a sconto dei peccati altrui, e ne avrà grande ricompensa nell’aldilà., e che ragionevolmente peccati molto gravi e bestiali potrebbero portare a un abbrutimento anche fisico e anche di dimensioni clamorose, dalla portata tale da mutare (almeno all’apparenza) la nostra natura. Ancor di più questo avviene quando si tratta dei peccati brutali per antonomasia, quelli della carne.

In questa rivelazione, comunque, Gesù sembra suggerire un’interpretazione meno metaforica. Prosegue lo scritto: «Quelli che non erano più figli di Dio, perché col padre e come il padre avevano fuggito Dio per accogliere satana, si spinsero a questo illecito, degradante, bestiale ed ebbero mostri per figli e figlie. Quei mostri che ora colpiscono i vostri scienziati e li traggono in errore. Quei mostri che, per la potenza delle forme e per la selvaggia bellezza e una radenza belluina, frutti del connubio fra Caini e i bruti, fra i bruttissimi figli di Caino e le fiere, sedussero i figli di Dio, ossia i discendenti di Set […] Fu allora che Dio, a impedire che il ramo dei figli di Dio si corrompesse tutto con il ramo dei figli degli uomini, mandò il generale diluvio a spegnere sotto il peso delle acque la libidine degli uomini e a distruggere i mostri generati dalla libidine dei senza Dio, insaziabili nel senso perché arsi dai fuochi di satana».

Perciò Dio si pentì10Questa espressione forte e chiaramente antropomorfica lascia intendere che l’uomo si fosse macchiato di colpe molto gravi, che nella Bibbia non vengono esplicitate. di aver creato l’uomo, dopo che ebbe assistito all’abbrutimento e al degrado inesorabile di una creatura originariamente perfetta. “Inesorabile” almeno fino al Suo intervento diretto con il diluvio universale, cui seguì tutta quanta l’opera pedagogica descritta nell’Antico Testamento e culminata con la venuta sulla terra di nostro Signore Gesù Cristo.

Da animali a dèi

Ed è proprio da lui, cioè da nostro Signore, che ci piace pensare di poter ripartire: non più negandolo come un Dio invisibile, con il segreto proposito di innalzarci a creatori di noi stessi («Noi, da soli, ci siamo evoluti da animali a uomini!»), ma riconoscendolo e adorandolo nella nostra stessa natura umana. Perché sì: Dio ha voluto essere uomo. Nonostante la nostra ingratitudine e superbia che ci induce al paradosso di degradarci, di autodegradarci, per non volerci umiliare davanti a Dio. Ma a noi è stato dato molto di più, infinitamente di più, di una semplice natura animale: la stessa natura di Gesù, la stessa sublime natura dell’Uomo-Dio.

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