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Non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo22 minuti di lettura

Beato Angelico, “Annunciazione”, tempera su tavola, 154×194 cm, entro il 1449. Madrid, Museo del Prado [immagine in evidenza]

Due scene contrapposte, nell’Annunciazione del Beato Angelico: da una parte, gli Adamo ed Eva decaduti, inseriti in un giardino fiorito allusivo alla verginità di Maria (hortus conclusus); dall’altra, il concepimento virginale di Gesù per opera dello Spirito Santo.

Nella nostra prima nascita siamo stati messi al mondo dai genitori per istinto naturale e in modo inconscio. Ora non vogliamo restare figli della semplice natura e dell’ignoranza, ma di una scelta consapevole.

Dalla Prima Apologia a favore dei cristiani di san Giustino, martire (cap. LXI)

«In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».

Gv 3,3-8

le anime che non sono nate dal sangue, né da volontà della carne, né da volontà dell’uomo [Gv 1,13], ma da Dio e da Maria, mi sapranno comprendere e gustare; ed è anche per queste che scrivo qui.

Dal Trattato della vera devozione a Maria di san Luigi Maria Grignion de Montfort (210)

Ebbene sì, caro Nicodèmo: la tua domanda è più che lecita. Come può nascere un uomo quando è vecchio? Come può nascere un uomo quando è già nato? Ma soprattutto: che necessità c’è di rinascere?

Gesù risponde che se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio; se uno non nasce dallo Spirito, non è degno dello Spirito. Anzi, lui stesso non è “spirito” (questa volta con la “s” minuscola), bensì (im)pura carne.

Nelle parole del Maestro riecheggiano quelle del Qōhelet: «Come ignori per qual via lo spirito entra nelle ossa dentro il seno d’una donna incinta, così ignori l’opera di Dio che fa tutto»1Qo 11,5.. E se è un mistero la nascita “carnale”, ancor di più lo sarà quella “spirituale”; una nascita, quest’ultima, che sarebbe più corretto chiamare “rinascita”. Oggi la realizziamo a posteriori mediante il Battesimo, che infonde nei bambini il dono dello Spirito in una rigenerazione possibile a partire dall’unione tra il “seme incorruttibile”21 Pt 1,23. della Parola di Dio all’elemento dell’acqua3Ef 5,26..

In fin dei conti, i sacramenti – Battesimo su tutti – non sono altro che una rappresentazione di quanto avvenne con Adamo nel momento della creazione. Il Signore formò l’uomo dalla polvere della terra (elementum) a cui unì il soffio del suo Spirito, dopo aver pronunciato la Parola fiat/faciamus (verbum) e così fecondato, cioè reso vivo, quel corpo di carne. Inizialmente, lo spirito dell’uomo e lo Spirito di Dio erano realmente “una cosa sola”4Gv 17,21. indivisibile anche dal corpo, perché «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo»5Sap 3,24. come conseguenza del peccato.

Ma la fine della vita potrebbe non essere stato l’unico aspetto “intaccato” e stravolto dalla colpa di Adamo. La stessa nascita, infatti, avviene oggi con modalità completamente diverse da quelle pensate da Dio per l’Eva innocente, condannata a partorire figli con dolore in seguito alla sua cacciata dal paradiso terrestre6Cfr. Gen 3,16..

Rimane un mistero, invece, la modalità di concepimento pensata da Dio per l’uomo prima della caduta: il peccato originale ha modificato – degradandoli – numerosi aspetti della vita dell’uomo, in primis quelli più strettamente legati alla “vita” in senso proprio, tra cui appunto la nascita e la morte. Si può supporre che anche il concepimento sarebbe dovuto avvenire in maniera diversa da come avviene oggi, escludendo in se stesso il processo di riproduzione sessuale, un processo per lo più istintivo e “animale”, più ancora che “naturale”. San Giustino, in premessa, faceva riferimento anche a una certa incoscienza e ignoranza che caratterizza quest’atto, guidato soprattutto dall’attrattiva esercitata da un piacere sensibile, piuttosto che da una scelta pienamente consapevole. Per gli animali, il piacere funziona come meccanismo di attrazione: vien da sé che essi non si uniscano allo scopo di conservare la specie (non ne hanno la minima consapevolezza), ma solo per istinto e allettati dalla prospettiva del piacere.

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Nascita carnale e (ri)nascita spirituale

Secondo numerosi teologi e Padri della Chiesa, la colpa d’origine è consistita proprio nel primo atto sessuale tra Adamo ed Eva. D’allora in poi, gli esseri umani si sarebbero autocondannati a procreare come gli animali, avendo deciso di anteporre la «possibilità inferiore» della loro natura a quella superiore, possibilità legata all’essenza anche carnale dell’uomo, che tuttavia non nega né deve prevalere su quella spirituale. Gli antichi filosofi chiamavano l’uomo “microcosmo” per questo motivo: egli racchiude in sé la vita materiale, vegetale, animale e spirituale, ma è lo spirito – in teoria – a dover dominare e regnare su questi quattro mondi, in quanto cosa ragionevolmente ed evidentemente superiore. A ragione Nietzsche stabiliva: «Nell’amore vero, è l’anima a ricoprire il corpo»; il corpo è solo il suo campo di espressione. Sappiamo che carne e Spirito hanno desideri contrari tra loro7Gal 5,17., motivo per cui tra le espressioni dell’amore spirituale – che peraltro è l’unico amore possibile – non rientrano sicuramente manifestazioni proprie dell’erotismo. Al limite, in quei casi, si può parlare di amor proprio, amore egoistico atto al raggiungimento di un piacere per sé, non di “amore vero”.

L’amore vero è donativo (non egoistico) e generativo (non sterile). E allo stesso tempo anche “spirituale”. Ma come può essere generativo un amore che è solo spirituale, che non prevede cioè l’incontro tra corpi? In fondo lo sappiamo: è generativo come è generativo l’amore di Dio.

Forse il suo è un caso un po’ limite, però Gesù non ha avuto bisogno di alcun coniugio di creature per venire al mondo: egli «fu concepito di Spirito Santo», direttamente da Dio, il quale, per così dire, fu suo Padre “legittimo”, come doveva esserlo per noi fin dal principio, senza la necessità che un sacramento (il Battesimo) ratificasse questo legame. È la necessità di rinascere dallo Spirito, per chi nella sua prima nascita è nato semplicemente dalla carne.

Nel prologo del Vangelo di Giovanni si parla appunto dei figli generati da Dio, quelli che credono nel suo nome che è Gesù (“Dio salva”) e conseguentemente accolgono la sua salvezza. In realtà, l’interpretazione di questo testo è leggermente controversa: quasi tutte le trascrizioni in greco recano il verbo al plurale, «da Dio sono stati generati (eghennéthesan, mentre alcuni Padri della Chiesa (san Giustino, sant’Ireneo, Tertulliano) sostengono che il soggetto fosse unico: l’unigenito Figlio (legittimo) del Padre, il quale – lui e solo lui – «da Dio è stato generato (eghennéthe)».

È chiaro che la nascita (e prima ancora il concepimento) di Gesù, Verbo incarnato, non poteva essere uguale a quella di un qualunque altro essere umano, per il semplice fatto che lui è Dio, Dio fatto uomo. Ma la domanda è: posto che Dio si sia fatto veramente uno di noi, «in tutto simile a noi fuorché il peccato»8Cfr. Gaudium et spes (22) ed Eb 4,15., e posto anche che egli ci aveva chiamati a replicare in noi la sua stessa vita divina, come possiamo credere che questo modo di nascere fosse stato pensato da Dio come una sua prerogativa esclusiva? Lo abbiamo constatato prima: egli si è fatto simile a noi e – prima ancora – ci ha fatti simili a lui, condividendo con gli uomini tutto, eccetto il peccato.

Ora, non diciamo che la modalità di concepimento convenzionale che tutti conoscono sia sempre e comunque un peccato: il matrimonio esiste proprio per sanare e santificare un atto di per sé indegno dell’uomo (sempre secondo questa teoria); atto che però, per l’appunto, rimane quantomeno “non conforme”, non afferente, non “qualificante” la natura dell’uomo in quanto tale. Un atto carnale, infatti, non può qualificare un essere spirituale, o comunque un essere “dominato” dallo spirito, semplicemente perché lo spirito è cosa superiore alla carne (e ciò che è superiore, lo ricordiamo, racchiude e domina ciò che è inferiore).

In virtù di ciò, Dio che si è fatto uomo per insegnarci l’umanità, non poteva scendere a compromessi con qualcosa di non propriamente umano, o comunque proprio di un’umanità decaduta. Questa la prova fondamentale: in Gesù, ma anche in Maria, vediamo l’uomo e la donna perfetti, gli archetipi della perfetta umanità, quella cioè non macchiata dalla colpa d’origine. Ripercorrendo le loro vite, possiamo farci una vaga idea su come sarebbe dovuta andare la nostra, di vita, se Adamo non avesse peccato. Ed è ciò che proveremo a fare nelle righe seguenti.

Abbiamo accennato all’inizio alla necessità di rinascere messa in evidenza da Gesù nel Vangelo. Possiamo supporre che la rinascita «da acqua e Spirito» si sia resa necessaria proprio per un “difetto” della nascita così come la conosciamo oggi, che avviene dopo il fenomeno meramente carnale del concepimento. Alla nascita siamo impuri: chi ha avuto modo di assistere ad almeno un parto, sa quanto il bambino sia sporco, non appena viene alla luce. E “sporco” lo è doppiamente, se pensiamo alla macchia della colpa d’origine: potremmo dire che la sua condizione esteriore è il riflesso di quella interiore. Uno che nasce impuro dalla carne ha bisogno di rinascere puro dall’acqua e dallo Spirito; il fonte battesimale è il suo lavacro di rigenerazione.

In altre parole, il concepimento è un processo dove lo Spirito non c’entra. Per “reintegrarlo”, per così dire, si deve per forza ricorrere a questo rimedio. Che è appunto un rimedio, perché tutti gli uomini, in principio, sarebbero dovuti nascere direttamente dallo Spirito.

Una maternità alternativa

Nel suo Trattato9Cfr. 20., il Montfort notava molto opportunamente che lo Spirito Santo è sterile nella divinità, cioè non produce altra persona divina. Diviene però fecondo sposando una creatura, in questo caso Maria, a sua volta ulteriormente divinizzata poiché resa partecipe di una facoltà squisitamente divina, quella di creare. È una dinamica perfetta: il Padre genera il Figlio; dal Padre e dal Figlio procede lo Spirito Santo; dallo Spirito Santo e dalla Donna nascono tutte le creature. In fondo avviene così anche oggi, anche se in maniera molto più mediata, per mezzo cioè del sacramento che ci rende figli di adozione (appunto perché frutto di un’unione, quella carnale, in cui lo Spirito non c’entra per definizione).

Poco più sopra abbiamo scritto “donna” con la “d” maiuscola per riferirci a Maria; evidentemente, il suo è l’unico caso noto di concepimento per opera dello Spirito Santo (è lei anche l’unica donna senza peccato!). Nulla vieta però di ipotizzare che lo Spirito Santo avrebbe voluto avere figli10Citiamo ancora il Montfort: il Santo usa questa espressione al numero 29 del suo Trattato. per mezzo di tutte le donne, e che la loro sarebbe potuta essere davvero una «dolce e pura maternità senza pesantezza di senso»11Questa invece è una citazione parziale tratta da una rivelazione privata, in particolare dai Quaderni della mistica viareggina Maria Valtorta (1897-1961)., in quanto esperienza prettamente spirituale che avrebbe coinvolto il corpo soltanto per accidens.

Messa in campo tale ipotesi, ci sentiamo di escludere, o almeno di non affrontarle direttamente nell’ambito di questa trattazione, supposizioni diverse sul tema del concepimento degli uomini prima del peccato originale. Di fatto, nel corso dei secoli, moltissimi pensatori cristiani si sono espressi su questo argomento, convenendo quasi tutti che il peccato di Adamo abbia investito e “carnalizzato” (l’opposto di “spiritualizzato”) anche questo aspetto della vita dell’uomo. Metaforicamente parlando, da quel momento in poi, l’uomo si è spogliato della veste divina per rivestirsi di pelli animali, una degradazione evidente fin da questa immagine così tanto emblematica.

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Il parere dei Dottori

Ma passiamo ad analizzare il primo punto di vista, quello di san Gregorio di Nissa (335-395 ca.). Per cominciare, il teologo osserva come al centro del giardino dell’Eden ci fossero due alberi, l’albero della vita e quello della conoscenza del bene e del male. Solo che al centro esatto del giardino non potevano esserci due alberi, ed è questo il motivo per cui il Nisseno li identifica facendoli coincidere. In particolare, viene vietato l’albero nella misura in cui esso comunica la conoscenza del bene e del male; fuor di metafora, viene vietata la sessualità. Non la vita che da essa deriva, quale conseguenza buona e vantaggiosa, ma unicamente la malizia dell’atto. L’ulteriore frutto dell’albero è proprio la vita, un frutto che l’uomo non può cogliere da sé, non può afferrare per divorarlo voracemente; in una parola, non può pretendere escludendo Dio e la sua volontà di donarglielo liberamente, a tempo e modo opportuno. Da notare ancora che l’albero è posto al centro del giardino, mentre è Dio al centro di tutte le cose, e tutte a lui devono afferire. Egli chiedeva per sé questa centralità anche nel cuore dell’uomo; in nome dell’egoismo e dell’orgoglio di “diventare come Dio”, di precederlo, persino, nella realizzazione di un suo disegno, l’uomo ha deciso di negargliela. In fin dei conti, sarebbe bastato aspettare: Dio intendeva dargli tutto, risparmiandogli lo sforzo di procurarsi quel fruttoil frutto della vita – da solo (pensiamo a quanto la sessualità spossi e atterri l’uomo, annebbiando le sue facoltà); ciò che chiedeva in cambio non era altro che una prova d’amore, prova che si esplica nella fedeltà.

Persa la fede, l’uomo ha trovato la ragione. Ma fidatevi, ciò non è affatto un bene: chi – come Adamo – possedeva il dono della scienza infusa (e la fede, assoluta convinzione stabile e infallibile, “equivale” alla scienza infusa), non aveva bisogno di ragionare, di fare troppe congetture, di valutare l’opportunità e la convenienza di questa o di quell’altra azione operando un discernimento, una distinzione ragionata tra il bene e il male. Sapientemente Dio gli teneva nascosto il male: in questo modo, l’uomo non avrebbe avuto altra scelta che il bene.

Fino a ora ci siamo dedicati a sviluppare liberamente un’idea del Nisseno, che identificava i due alberi esattamente l’uno con l’altro (diverse interpretazioni sono possibili, ma la Scrittura è fin troppo criptica per abilitarci a elaborare tesi certissime). Da qui in poi, trascriviamo il suo pensiero così come riportato dal teologo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988) nella sua opera Gli stati di vita del cristiano (1945):

«Noi non avremmo avuto bisogno del matrimonio per riprodurci, se non avesse avuto luogo per noi alcun rovesciamento e alcuna deposizione dalla dignità angelica, ma quale che possa essere la maniera di riprodursi nella natura degli angeli – indicibile e inspiegabile per le supposizioni umane essa ha in ogni caso luogo –, essa sarebbe stata operante anche in coloro che sono “di poco inferiori agli angeli”, per moltiplicare il genere umano fino alla misura stabilita dalla decisione del Creatore» [tratto dal De hominis opificio, N.d.R.].

Che l’uomo però già nell’Eden sia stato fornito degli organi sessuali, questo è stato messo in atto dalla sapienza di Dio in previsione della futura caduta del peccato. Gregorio paragona così la natura originaria dell’uomo a quelle opere d’arte «nelle quali con sorpresa dell’osservatore sono posti due volti su un capo», dove viene lasciato decidere all’uomo di subordinare la possibilità inferiore della sua natura a quella superiore, ma anche di perdere la superiore a causa dell’inferiore.

In linea con la sua posizione, quella di san Giovanni Crisostomo (344/354-407), proclamato Dottore della Chiesa nel 1568:

Adamo conobbe la sua donna. Considera quando ciò accadde. Dopo la caduta, dopo la perdita del paradiso, solo allora iniziò l’uso della sessualità. Prima del peccato essi imitavano la vita degli angeli, e non si parlava affatto di vita sessuale.

Hom in Gen 18, 4

All’inizio e prima del matrimonio c’era la verginità, poi venne il matrimonio e diventò necessario, sebbene esso non sarebbe stato usato se Adamo fosse rimasto obbediente. Come sarebbero però allora sorte così tante migliaia di uomini? Se ti affligge questa questione, allora io ti pongo la questione contraria: da dove ha origine Adamo, da dove Eva senza il sopravvenire del matrimonio? E con ciò, incalzi tu, dovrebbero tutti gli uomini nascere in questa maniera? In questa o in un’altra maniera, non sono in grado di dirtelo. Solo questo sta certo: che Dio non aveva bisogno del matrimonio per moltiplicare gli uomini sulla terra.

De Virg 17

Anche san Massimo il Confessore (580-662) si rifà a san Gregorio:

Poiché la volontà originaria di Dio era che noi non venissimo generati attraverso l’unione carnale a causa della caducità; solo l’infrazione della legge introdusse il matrimonio.

Qu et Dub 3; PG 90, 788 AB

Non solo: egli annota che fu a causa della caduta che “entrò in vigore” nella natura la “legge” della passione (Qu ad Thai 59; PG 90, 613 C). Inoltre, questa maniera di procreare è collegata da una parte con il piacere carnale e dall’altra con la morte (ibid. 61; PG 90, 632 B).

San Giovanni Damasceno (650-750), Dottore della Chiesa, azzarda quest’ulteriore ipotesi: l’uomo era stato creato da Dio come maschio, «poiché però nella sua preveggenza Dio sapeva che egli si sarebbe macchiato della disobbedienza e sarebbe soggiaciuto alla rovina, creò da lui una donna, […] per ottenere dopo la disobbedienza una posterità che si consegue per mezzo della generazione».

Creazione è il modo originario di Dio di formare l’uomo, procreazione è invece il modo di aver origine l’uno dall’altro sopravvenuto a causa della condanna dopo la disobbedienza.

Sorgente di conoscenza II, 30

Prosegue il Damasceno:

Ma essi forse obietteranno: cosa significa allora l’espressione “uomo e donna” e “crescete e moltipllcatevi”? Noi replicheremo: il “crescete e moltiplicatevi” non significa certo moltiplicazione attraverso il commercio sessuale. Dio poteva certo moltiplicare la stirpe umana anche in altra maniera, se essi osservavano il comando sino alla fine senza infrangerlo. Solo Dio, che tutto sa prima ancora che accada, sapeva che essi avrebbero disobbedito e sarebbero stati condannati. Per questo egli creò sin dall’inizio maschio e femmina e comandò loro di crescere e di moltiplicarsi.

Ibid. IV, 24

Attenendoci a un’interpretazione più letterale del testo biblico, constatiamo che la distinzione dell’essere umano in due sessi partecipa in realtà della stessa imago Dei: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò»12Gen 1,27.. Ciò significa che gli interscambi d’amore entro la Santissima Trinità si rispecchiano in quelli propri della relazione tra l’uomo e la donna, entrambi esseri umani, ma in maniera diversa, ciascuno cioè con le peculiarità proprie del genere maschile e del genere femminile (come Dio è Dio nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, pur essendo le tre persone [ipostasi, configurazioni della stessa sostanza] distinte e diverse tra loro). Il figlio frutto dell’unione tra l’uomo e la donna completa seguitamente questa “trinità terrena”, allo stesso modo in cui lo Spirito Santo «procede dal Padre e dal Figlio» congiuntamente13È la dottrina del cosiddetto “filioquismo”, aggiunta al Simbolo niceno-costantinopolitano nell’ambito del Concilio di Cividale del Friuli del 796/797..

La perdita della verginità compromette (corrompe) l’integrità del corpo

A partire da queste visioni, san Tommaso d’Aquino (1225-1274) elaborò la sua personale teoria esposta nella Summa Theologiæ, prima parte, questione 98. A detta del Doctor Angelicus, che riprende e cita direttamente «alcuni antichi Dottori» come il Nisseno e lo stesso Damasceno, le attribuzioni di ordine naturale che rendono l’uomo maschio e femmina sarebbero state funzionali e adoperate al pari degli altri organi naturali, con l’unica differenza che nello stato d’innocenza il «piacere dell’atto» e il «bollore della concupiscenza» sarebbero stati assoggettati e moderati dalla ragione.

Nello stato di innocenza non c’era nulla che sfuggisse al freno della ragione; non che fosse minore il piacere dei sensi, come dicono alcuni (poiché sarebbe stato tanto maggiore il diletto sensibile, quanto più pura era la natura e più sensibile il corpo); ma perché il concupiscibile non si sarebbe gettato così disordinatamente su tale piacere, essendo regolato dalla ragione. Alla quale ragione non spetta rendere minore il piacere dei sensi, ma impedire che la facoltà del concupiscibile aderisca sfrenatamente al piacere; e sfrenatamente qui significa oltre i limiti della ragione. Così l’uomo sobrio nel cibarsi moderatamente non ha un piacere minore dell’uomo goloso; ma il suo appetito concupiscibile si abbandona meno a tale piacere.

I q. 98 a. 2 ad 3

Con questa affermazione, in realtà, san Tommaso si discosta non poco da quelle fatte precedentemente dai Santi Padri, che escludevano tout court la possibilità che nell’Eden l’uomo fosse stato dotato di una fecondità sessuale. L’unione descritta dal Doctor Angelicus, infatti, è pur sempre un’unione di tipo “sessuale”, non solo “corporale”. Al contrario, i Padri sostenevano che l’uomo si sarebbe riprodotto in una maniera spirituale, maniera che comunque non avrebbe escluso a priori la cooperazione del corpo, anche se non nel modo che conosciamo oggi.

D’altra parte, lo stesso san Tommaso espone il seguente sillogismo:

Nello stato di innocenza non vi sarebbe stata corruzione di sorta. Ma il coito corrompe l’integrità verginale. Dunque nello stato di innocenza non ci sarebbe stato il coito.

I q. 98 a. 2 arg. 4

Nel De civitate Dei 14,26, sant’Agostino (354-430) esplicita ulteriormente:

Il marito si sarebbe unito alla moglie senza comprometterne l’integrità. Infatti il germe virile poteva allora introdursi nell’utero della donna, rimanendo intatto il setto verginale, allo stesso modo che ora resta intatta tale integrità, nonostante il flusso delle mestruazioni dall’utero della vergine. Come infatti l’impulso della maturità, non il gemito del dolore, avrebbe aperto le viscere della donna per il parto; così l’uso volontario, non l’appetito libidinoso, avrebbe congiunto le due nature per l’atto del concepimento.

Pur non escludendo, al pari di san Tommaso, che la sessualità potesse essere presente anche nella creazione originaria («non avrebbe alcun senso trincerarsi contro questa interpretazione testuale», ibid. 14,22), sant’Agostino prende in considerazione l’assunto di san Gregorio di Nissa e, nella sua opera più famosa, le Confessioni (13,24), fa sua la distinzione delle due modalità dell’atto della procreazione: una generazione dal basso, come le bestie, e una generazione dall’alto, come era prevista per l’uomo. La seconda è una potenzialità che ben si riscontra nella creatura senza peccato per antonomasia, Maria santissima, la quale concepì un figlio «subordinando la possibilità inferiore della sua natura a quella superiore». Ed è proprio questa superiorità, derivante dalla sua essenza spirituale, che distingue (avrebbe distinto) l’uomo dalle bestie.

Nel corso dei secoli, numerosi altri teologi hanno filosofato sull’argomento, tra cui il Doctor Seraphicus, san Bonaventura da Bagnoregio (1217/1221-1274), francescano, che si espresse in maniera simile all’amico san Tommaso, e poi ancora i loro allievi Riccardo di Mediavilla (1249-1300 ca.), anche lui francescano, ed Egidio Romano (1243 ca.-1316), arcivescovo appartenente all’Ordine di San’Agostino al quale furono tributati i titoli onorifici di Doctor fundatissimus e Theologorum princeps.

Durando (1270 ca.-1334 ca.), domenicano, e Alessandro di Hales (1183 ca.-1245), francescano, sostennero che l’atto sessuale e corrispondentemente anche il parto non sarebbero dovuti avvenire nella stessa maniera di oggi. In generale, tutti i teologi sopracitati misero in evidenza il valore della verginità, cercando in qualche modo di farla concordare e sussistere con la sessualità. Secondo Alessandro, nello specifico, la piena integrità corporale si sarebbe potuta mantenere grazie all’onnipotenza di Dio o a una grazia speciale conferita nello stato originario.

Questa soluzione, però, risulta meno convincente rispetto a quelle proposte dagli antichi padri, che non ammettevano la possibilità di una vita sessuale (non diciamo “corporale”) per gli uomini in nessun modo e in nessuna forma prima del peccato originale.

Tra questi, oltre ai già citati, ricordiamo Eutimio Zigabeno, Procopio di Gaza (465-528) e san Girolamo (347-419/420), il quale rilevò:

Di Adamo ed Eva bisogna dire che essi prima del peccato erano vergini nell’Eden, ma dopo la colpa e fuori dall’Eden si unirono in matrimonio ben presto.

C Jov I, 16

E ancora, a fronte di eventuali obiezioni:

Se tu replichi che già prima del peccato il genere umano era stato diviso in maschile e femminile, e che anche senza il peccato essi potevano unirsi nell’atto sessuale, io rispondo: cosa sarebbe accaduto non si sa, poiché non possiamo misurare i piani di Dio e afferrare in anticipo il suo giudizio secondo quanto a noi sembra. Cosa è accaduto, questo lo sappiamo: quelli che nell’Eden erano rimasti vergini, cacciati dall’Eden si sono uniti in matrimonio.

Ibid. I, 29

Per san Girolamo, inoltre, la somiglianza col Creatore non include necessariamente l’unione matrimoniale, tanto più che – come leggiamo nel Vangelo – «i figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito»14Lc 20,34-35.. I risorti «sono uguali agli angeli»15Lc 20, 36., spiega ancora Gesù, motivo per cui – se il matrimonio riempie la terra (in osservanza del comando divino espresso in Gen 1,28) – la verginità riempie il cielo (ibid. I, 16). Rispondendo alla domanda circa l’utilità degli organi sessuali, il santo rinvia all’umanità di Cristo, che non volle servirsi di ciò che pure possedeva – come dimostra la circoncisione –, insegnando che la sessualità non è un aspetto qualificante ed essenziale per la vita di un essere umano. Ed è un insegnamento che diede in qualità di perfetto essere umano, che condivise con noi tutto a eccezione di questa singolarità.

In risposta al paradosso: lo stato di natura decaduta non può superare quello di natura integra, per quanto riguarda la perfezione della verginità

Per completezza, in conclusione, riportiamo anche il parere del gesuita Francisco Suárez (1548-1617), il quale precisava che Cristo e sua madre sarebbero rimasti vergini in ogni caso, anche se Dio fosse divenuto uomo in una natura non decaduta. «Altrimenti – scrive – lo stato della natura caduta supererebbe lo stato dell’innocenza per quanto riguarda la perfezione della verginità, cosa che sembra essere tanto contro la superiore eccellenza di questo stato quanto contro il fatto su cui i santi pongono tanta importanza: che cioè Adamo non senza un profondo mistero conobbe la sua donna solo allorché fu stato cacciato dal paradiso» (De op sex dier V, 2,3; Op in, 385).

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